Adattamento ai cambiamenti climatici e accenni di mainstreaming.

Sfide in parallelo nella didattica e nella pianificazione territoriale

Cosa significa Adattamento ai Cambiamenti Climatici (ACC)?

Questo è l’incipit delle conversazioni professionali, interviste di ricerca e lezioni didattiche fatte nel corso degli ultimi anni. Se da un lato le risposte non sono mai uguali, giuste (es: ripararsi dalle ondate di calore e affrontare l’innalzamento dei mari) o sbagliate (es: ridurre le emissioni di CO2 e gli inquinanti atmosferici o gestire i terremoti) che siano, dall’altro lato le reazioni sono molto simili fra loro: smarrimento e confusione.

Sgomento… Gli interlocutori rimangono a primo impatto attoniti da questa domanda irriverente e, che rimanga fra noi, anche io avrei qualche difficoltà nel rispondere senza sentirmi indispettito.

L’ACC vista la sua natura estremamente sensibile al contesto interessato (context-sensitive) è sicuramente una sfida difficile da definire, se non in maniera generale (vedi i rapporti dell’IPCC), e di conseguenza da affrontare. È un problema che alcuni accademici (Lazarus, 2008; Levin et al., 2012) etichettano come Super Wicked, concetto che incorpora una serie di principi. Wicked (Rittel & Webber, 1973) perché è difficile da definire chiaramente (appunto), ha molte interdipendenze ed è multi-causale, porta a conseguenze difficili da prevedere, la loro comprensione è in continua evoluzione, non hanno una soluzione chiara, non si collocano quasi mai sotto la responsabilità di una specifica organizzazione. Super perché non c’è molto tempo a disposizione per affrontarlo e chi è alla causa del problema è lo stesso che tenta di risolverlo.
Quindi, pianificare l’ACC significa rendersi conto della sua natura intersettoriale, delle sue complessità in relazione alle città e ai territori del secolo XXI. 

Figura 1 – The vexation of the thinker – Giorgio de Chirico (1917)

A differenza della città del XX secolo, che è stata la scena del pittore Giorgio de Chirico (vedi Figura 1), le città contemporanee incorporano complessità, quali il cambio climatico e l’adattamento ad esso, difficili da affrontare nella teoria e nella pratica. Di fatto, così come il signor de Chirico che immaginava e dipingeva i suoi artefatti e le persone a livello meta, le città e i territori di oggi richiedono di essere (ri)studiati e (ri)pensati attraverso uno sforzo di meta analisi nei vari ambiti amministrativi/governativi, professionali, didattici e di ricerca. Quindi:

  • Siamo in grado di pianificare l’ACC e gestire le città e i territori di questo secolo?
  • Siamo pronti noi planners con i nostri background formativi ed esperienziali ad affrontare questa nuova sfida?  
  • Siamo pronti ad insegnare l’ACC ai planners del futuro?

Domande altrettanto irriverenti alle quali se ne aggiungono un paio di carattere esistenziale-professionale per i planners:

  • Pianificare o non pianificare?

Ovviamente si, Pianificare!

  • Con piano o senza piano?

Ed è qui il nocciolo della questione.

Con il titolo provocatorio “Does Planning Need the Plan?”, già nel 1998 il Prof. Neuman (Neuman, 1998) commentava la timidezza (o paura) dei planners e degli accademici del settore nell’affrontare in teoria e in pratica i nuovi approcci alla pianificazione e al governo territoriale. L’abitudine (o la regola?) ha portato ad aggiungere un nuovo piano, un nuovo dipartimento governativo o un nuovo corso di laurea universitario ad hoc (dicesi in gergo anche dedicated approach oppure add-on) ogni qual volta ci sia stata una nuova questione da risolvere. Così è avvenuto con l’Ambiente alla fine del secolo scorso e poi a susseguirsi con altre ondate di “novità” come per esempio la Rigenerazione urbana, la Smart City, la Mitigazione al Cambio Climatico, la Resilienza urbana, l’Infrastruttura Verde, etc.

La pianificazione territoriale convenzionale che presuppone anche (o soprattutto) l’utilizzo dell’approccio settoriale, particolarmente quella indirizzata all’ACC nonostante sia ancora agli albori, ha dimostrato sempre più un’inefficacia nell’implementazione delle azioni e delle misure. Della serie: molte chiacchiere, molti buoni propositi, svariati piani e strategie, ma pochissimi risultati.  In nostro soccorso e a supporto delle questioni intersettoriali, quale è l’ACC, giunge un concetto chiave: il Mainstreaming.

Attenzione: Mainstreaming (to mainstream) e non Mainstream.

Il primo è un verbo e il secondo un sostantivo. Analizzando la parola, la prima parte (main) connota dominio e costanza, mentre la seconda (stream) ha toni placidi. Data la sua origine acquatica, il termine stream evoca fluidità, armonia e inevitabilità. Nella sua versione sostantiva assume il significato di “corso principale di attività” o la “principale corrente di opinione”. Mentre nella sua accezione da verbo diventa un concetto dinamico.
Il mainstreaming “suggerisce una deliberata perturbazione nell’ordine naturale delle cose. (…) [S]ovverte lo status quo e tuttavia non evoca cambiamenti caotici o interruzioni dolorose. In effetti, il mainstreaming implica una riforma graduale piuttosto che una rivoluzione frenetica [o parossistica]. In termini di policy, viene in genere raggiunto attraverso cambiamenti incrementali negli obiettivi del programma, protocolli operativi o organizzativi” (Picciotto, 2002).

Mainstreaming è un concetto che si confà alle questioni trasversali ed intersettoriali e conseguentemente se trasposto all’ACC trova perfetta coerenza. È stato adottato già in diversi ambiti, tra cui l’Eguaglianza di Genere che è stata la prima a beneficiarne (Jahan, 1995), e l’Ambiente (Jordan & Lenschow, 2010), quest’ultimo con scarsi risultati, ed è oggigiorno promosso e consigliato per l’ACC dalle organizzazioni internazionali (e.g. ONU, UE) e da un nutrito numero di accademici. Nell’ottica della pianificazione territoriale Klein et al. affermano che “il mainstreaming comporta l’integrazione di politiche e misure, per affrontare i cambiamenti climatici, nella pianificazione e nei processi decisionali generali, [strategici] e settoriali” (2005, 2007). Sostanzialmente, anziché creare l’ennesimo nuovo strumento, un piano o una strategia, o un nuovo “compartimento stagno” (silo in gergo tecnico), sia esso un ministero o un assessorato, si punta ad integrare l’ACC all’interno dei quadri operativi di pianificazione e gestione territoriale, incorporandolo per esempio nei dipartimenti già esistenti di urbanistica, ambiente, protezione civile, edifici pubblici, lavori pubblici, etc. (vedi Figura 2).

Figura 2 – La metafisica del “mainstreaming” – Illustrazione de: lanomada www.la-nomada.com – Proprietà di mgb consultant

Dunque, riprendendo la prima delle precedenti domande:

  • siamo pronti a pianificare l’ACC?

I fatti e le analisi accademiche danno spesso esito negativo. La tendenza generale è che si propende ad affrontare i problemi attuali cercando di risolverli con gli strumenti e gli approcci che hanno portato alla creazione dei problemi (super wicked) medesimi.
La gravità della faccenda è che spesso non ci si rende conto di questa evidenza. La mentalità da silo quindi permane tra i planners, la quale fonda le sue radici nei due secoli passati; secoli che hanno affrontato situazioni difficili ma non complesse come quelle odierne.

Così descritta, la situazione paventa uno scontro di carattere intergenerazionale che può trasformarsi in confronto grazie all’approccio Mainstreaming, modificando lo status quo in maniera non parossistica. Di conseguenza:

  • siamo pronti, con i nostri background formativi ed esperienziali, ad affrontare questa nuova sfida?

Il cambio climatico, assieme a tutte le incertezze e le difficoltà nel prevederlo, è dirompente ed è evidente che sta rendendo poco efficaci gli approcci consequenziali classici ai quali siamo abituati: “predict and provide” e “command and control”. Le expertises tecniche e le manie di controllo e conformità governative, abituate a considerarsi enablers, stanno invece dimostrando di fare parte degli ostacoli e barriere all’ACC. Forse esagero, ma la mia personale impressione è che si provi un sentimento di paura (professionale si intende) di fronte a tanta complessità e la reazione primordiale della paura porta a rifugiarsi in “feticismi” o “elitismi” tecnico-intellettuali (es: far valere rigidamente 40 anni di esperienza sul campo, difendersi dietro ad un approccio scientifico-quantitativo rigoroso, sentirsi inattaccabili visti i trascorsi formativi in una grande e rinomata Università, etc.).

Come sostenuto da Birkmann et al., riferendosi alle aree urbane e supportati dal concetto di Urban Adaptive Governance, “l'[ACC] non può essere affrontato in misura sufficiente solamente attraverso l’implementazione delle misure strutturali di [media e] larga scala che mirano a adeguare l’ambiente costruito. (…) [A]ssieme alla città costruita e consolidata, anche il sistema di pianificazione e le strutture di governance multilivello devono adeguarsi…” (2010). Pertanto, è evidente e condivisa la necessità di questo cambio di paradigma verso il miglioramento dei sistemi di pianificazione, degli strumenti e dei processi di governance con maggiore integrazione, approccio intersettoriale e multilivello (Birkmann et al., 2014).

Il cambio del paradigma non esenta il sistema educativo e formativo, principalmente nei corsi di laurea affini alla pianificazione territoriale, non trascurando però anche gli albi e ordini professionali. Pertanto:

  • siamo pronti ad insegnare l’ACC ai planners del futuro? e ad aggiornare i planners di oggi?

Quindi, abbiamo bisogno di corsi di laurea nuovi preparati ad-hoc per l’ACC o possiamo fare il Mainstreaming dentro i Curricula esistenti? Gli sforzi per integrare le considerazioni sui cambiamenti climatici nei corsi di pianificazione rappresentano un’opportunità per riconsiderare più in generale l’educazione alla pianificazione, in particolare i contenuti, gli approcci e le capacità essenziali richieste ai planners.
Ricalcando dall’articolo di Davidson e Lyth (2012), le modifiche ai programmi educativi di pianificazione sono indissolubilmente legate ai cambiamenti che si verificano nel mondo della pratica della pianificazione e riflettono in misura considerevole gli sforzi continui della professione di pianificazione per rimanere pertinenti. 
A sostegno di questo contesto e dei requisiti, i planners avranno bisogno di conoscenze e competenze specifiche (hard-skills), tra cui avere una conoscenza minima delle scienze del cambiamento climatico, e di sviluppare una sensibilità e umiltà professionale (soft-skills) verso le complessità e le incertezze dei cambiamenti climatici.
Sforzi intellettuali predittivi, un pensiero critico e riflessivo, un approccio sistemico e l’apertura a processi decisionali partecipati. I planners devono (e dovranno) essere in grado di pensare in maniera olistica e impegnarsi con idee creative al di fuori della norma. Ciò implica la necessità di formarsi partecipando a laboratori in team inter- e trans-disciplinari al fine di comprendere e risolvere collettivamente i problemi complessi. Infine, questo richiederà anche ai planners (e ai loro insegnanti) di sviluppare delle capacità di apprendimento adattivo.

(Testo originale: Granceri M., 2020 “Adattamento al cambiamenti climatici e accenni di mainstreaming” In: “Plan Director de Adaptación General del Distrito Carabanchel de Madrid” Editors: Prof. De Gregorio Hurtado S., Prof. Ruiz Sanchez J. – UPM, https://www.locuslab.eu/ebook-plan-director-adaptacion-carabanchel-madrid/ )

 

Riferimenti bibliografici

Birkmann, J., Garschagen, M., Kraas, F., & Quang, N. (2010). Adaptive urban governance: new challenges for the second generation of urban adaptation strategies to climate change. Sustainability Science, 5(2)
Birkmann, J., Garschagen, M., & Setiadi, N. (2014). New challenges for adaptive urban governance in highly dynamic environments: {Revisiting} planning systems and tools for adaptive and strategic planning. Urban Climate, 7
Davidson, J., & Lyth, A. (2012). Education for Climate Change Adaptation — Enhancing the Contemporary Relevance of Planning Education for a Range of Wicked Problems. Journal for Education in the Built Environment, 7(2)
Jahan, R. (1995). The elusive agenda : mainstreaming women in development : Jahan, Rounaq. : Book, Regular Print Book : Toronto Public Library.
Jordan, A., & Lenschow, A. (2010). Environmental policy integration: a state of the art review. Environmental Policy and Governance, 20(3)
Lazarus, R. J. (2008). Super Wicked Problems and Climate Change: Restraining the Present to Liberate the Future. Cornell Law Review, 94
Levin, K., Cashore, B., Bernstein, S., & Auld, G. (2012). Overcoming the tragedy of super wicked problems: constraining our future selves to ameliorate global climate change. Policy Sciences, 45(2)
Neuman, M. (1998). Does Planning Need the Plan? Journal of the American Planning Association, 64(2)
Picciotto, R. (2002). The Logic of Mainstreaming. Evaluation, 8(3)
Rittel, H. W. J., & Webber, M. M. (1973). Dilemmas in a general theory of planning. Policy Sciences, 4(2)